IL SILENZIO E LA RIVELAZIONE
“Se riveli al vento i tuoi segreti,non devi poi rimproverare
al vento di rivelarli agli alberi”
(K. Gibran)
Ill.mo e Ven.mo Gran Maestro, Ven.mi Grandi Ufficiali, Maestro Venerabile, Fratelli tutti; in questi giorni di riflessione, con il timore di non riuscir ad esprimere pienamente ciò che la mia mente desidera, lascio tale compito al mio cuore.
Sin dalle prime tegolature numerosi quesiti, ispirati forse dalla curiosità, mi assalivano. Mi furono aperte alcune strade della conoscenza ed uno strumento di analisi, che mirasse al vero significato delle cose. Tra le prime domande, la più urgente riguardava il segreto massonico ed i motivi di tale segretezza. Discutendone con Voi, Fratelli, mi fu finalmente chiaro il motivo di tale riservatezza.
Appresi inizialmente che in Massoneria non si nascondono segreti, ma - concedetemi il termine - si “custodiscono” secreti. Tale affermazione mi lasciò interdetto: come era possibile che si custodisse un secreto con diritto/obbligo di non rivelazione? Crebbe in me un desiderio di chiarezza ed è su tale argomento che intendo esporre le mie riflessioni.
Così come lo scalpello che lavora la pietra si rivela del tutto inutilizzabile senza un maglietto adeguato; ho ritenuto così necessario per l’inizio del mio cammino provare a rispondere alle domande che ostacolavano la mia levigazione.
Prima di tutto, la “non rivelazione” metteva in discussione quanto affermato in precedenza; il paradosso tra quest’ultimo ed il secreto sembrava, per il mio modo di pensare ancora profano, incolmabile. In questi mesi di silenzio, ringrazio il grado di Apprendista per avermi concesso ulteriori momenti di riflessione interiore. Sin dalla scuola pitagorica agli apprendisti non era concesso di parlare, cosicché, sentendo le parole del Maestro, apprendessero l’Arte e raggiungessero un livello di conoscenze che permettesse loro di confrontarsi con gli altri Fratelli.
Soltanto successivamente, dopo una tornata informale, fui infatti reindirizzato sulla giusta via. Mi venne ricordato uno dei primi insegnamenti ricevuti e cioè che nulla è scritto per caso: appresi dunque il vero significato della rivelazione, o meglio della non rivelazione; compito di un Massone è condividere con gli altri la propria conoscenza, eliminando questi veli metaforici che la società instaura in noi. Mi si aprirono finalmente spunti di riflessione, ma un dubbio permaneva: non capivo ancora per quale motivo un secreto, cui un Fratello fosse giunto, non potesse essere di aiuto agli altri.
Giunsi alla conclusione che un secreto è per sua natura incomunicabile, in quanto ogni individuo arriva a ciò tramite un bagaglio di esperienze diverso da tutti gli altri. Benché tale conclusione si riveli forse fondata, era ben lontana dal farmi sentire appagato.
Scopo della Massoneria è l’elevazione dell’uomo, possibile non solo tramite un autoprocesso interiore, ma anche attraverso un confronto esterno tra Fratelli, che ci aiutino a riprendere la giusta via, in caso di dubbi. Possiamo definire, forse in maniera un po’ approssimativa, la Massoneria come un linguaggio simbolico che ci permette di levigare la nostra pietra, verso l’elevazione. Secondo un noto teologo del resto “È necessario assumere il linguaggio stesso della rivelazione per poter accedere alla verità che vuole esprimere”.
Mi chiedo pertanto se, nel tentativo di utilizzo di uno stesso linguaggio, il divario che separa un secreto di un nostro Fratello dalla nostra comprensione sia davvero così incolmabile; ed anche se, parlando lo stesso linguaggio, le differenti esperienze risultassero non compatibili per farci apprendere tale secreto, non ne varrebbe comunque la pena, se riuscissimo in tal modo a salire anche solo un gradino della scala che ci porta all’infinito? Così come la Massoneria non dà risposte, ma solo possibili percorsi, ritengo che una chiarezza esaustiva sia impossibile da raggiungere, benché non si possa negare che l’utilizzo del Testo Sacro possa aiutarci nell’ ascolto, poiché ogni linguaggio deriva dalla Parola del G.A.D.U.
Vorrei solamente far riflettere in linea conclusiva, sull’opportunità che il confronto tra Fratelli ci permette. La possibilità di confronto, nella ricerca di una conoscenza altrui, che ci permetta di mantenere una via “giusta”, è una nobile causa che dobbiamo intraprendere con devozione ed umiltà; così da non cadere nell’errore che fecero i costruttori della Torre di Babele, i quali presuntuosamente credettero di arrivare a Dio.
Consapevole del fatto di non poter mai vedere la fine della scala di Giacobbe, ma lieto della possibilità datami dal G.A.D.U. di poter cercare di salirne qualche gradino, vorrei ringraziare tutti i Fratelli dell’opportunità datami, ed auguravi un sereno cammino di riflessione.
jackie