Sull'iniziazione sciamanica nelle tradizioni tribali

Leuviah

Considerazioni generali

Il fenomeno dello sciamanesimo è il punto di partenza per poter studiare ed analizzare, dal punto di vista mistico-esoterico, la ritualità all’interno delle comunità tribali di tutto il mondo.
Lo sciamano rappresenta la figura di maggior rilievo nel sistema tribale delle etnie dell’Asia, dell’Europa, dell’Africa, dell’Oceania e delle Americhe. L’origine del termine stesso “sciamano”, deriva dalle lingue parlate dai popoli dell’Asia centrale e settentrionale e si riferisce ad una figura centrale all’interno dei villaggi che può ricoprire diversi ruoli, dal mago allo stregone, dall’ uomo-medicina al sacerdote, dal mistico al poeta. Lo sciamano è altresì lo psicopompo della tribù, ovvero l’iniziato che, tramite le proprie conoscenze e capacità, accompagna le anime dei defunti nel trapasso tra la vita e la morte fisica. Tale figura è dotata di peculiari poteri magici, guaritivi e religiosi, che non permettono a qualunque mago, uomo-medicina o sacerdote di ricoprire il ruolo dello sciamano: lo sciamano utilizza una tecnica propria soltanto a lui.
Altre figure, come il prete sacrificatore (Cohen), possono coesistere a fianco dello sciamano, ma quest’ultimo resta sempre la figura predominante per ciò che riguarda l’attività esoterico-religiosa della comunità. Ciò deriva dal fatto che, soprattutto nelle aree siberiane e dell’Asia centrale, lo sciamano è considerato come il GRAN MAESTRO dell’estasi.
Queste iniziali considerazioni ci permettono di poter diradare le nubi che oscurano il nostro cammino, senza scendere a considerazioni etimologiche, sociologiche e storiche che ci allontanerebbero soltanto dal fine della nostra ricerca.
Partendo dallo studio dei popoli artici, siberiani e centro-asiatici, troviamo numerosi punti in comune che caratterizzano i diversi gruppi, nonostante le differenze etniche e linguistiche. Oltre al nomadismo e all’economia basata sulla caccia, la pesca, l’agricoltura e l’allevamento, questi popoli sono accomunati dalla religione. Infatti i gruppi etnici che prendiamo in esame, venerano un Gran Dio Celeste, creatore ed onnipotente; in alcune di quste tribù il nome del Gran Dio coincide con il termine “il Cielo” e anche quando quest’ultimo termine è concretamente assente nelle lingue tribali, la divinità e viene indicata con diversi vocaboli, tra cui “l’Alto”, “l’Elevato", “il Luminoso”, ecc… .
Le tribù dell’Asia settentrionale chiamano il proprio Dio “la Luce Bianca”, “l’Assai Elevato Signore”, “L’Uno d’in Alto”, “il Signore dell’Alto”. Nell’Asia centrale le etnie turco-tartare chiamano il Gran Dio “il Capo”, “il Padrone” e, spesso, “il Padre”.
Questo Dio che abita nei Cieli Superiori ha diversi “figli” o “messaggeri” che si occupano, per suo conto, dei Cieli Inferiori. Generalmente in tutte le tribù a cui facciamo riferimento, si parla di Sette o Nove “Figli” o “Figlie” con i quali lo sciamano ha un rapporto particolare. Il ruolo di questi Figli e Messaggeri del Dio Celeste è sorvegliare ed aiutare gli uomini. Il pantheon delle divinità è spesso assai più numeroso e solitamente manicheo: nelle credenze delle tribù dei Buriati dell’area asiatico-siberiana troviamo sino a 55 Dei “buoni” che si scontrano con 44 Dei “malvagi” in una lotta senza fine.
Esaminando i caratteri principali di queste credenze religiose si incontrano diverse analogie con le religioni degli Indoeuropei: un Gran Dio Celeste o della Tempesta che governa i Cieli Superiori e una serie di “figli” e “messaggeri” che interagiscono con gli uomini (vedi gli Açvin e i Dioscuri). Inoltre la venerazione del Fuoco, i riti di caccia e la concezione della morte sono ulteriori punti d’incontro tra le religioni dei gruppi etnici dell’Asia centro-settentrionale ed Indoeuropei.

Il reclutamento e l'iniziazione

Nella Siberia e nell’Asia nord-orientale le principali vie di reclutamento sciamanico sono:
1. la trasmissione ereditaria della professione sciamanica;
2. la vocazione spontanea, “la Chiamata”, “l’Elezione”.
Bisogna precisare che lo sciamano che ha conseguito la seconda via è considerato molto più potente di uno sciamano ereditario.
Lo sciamano viene riconosciuto tale solo quando ha ricevuto una doppia istruzione:
1. istruzione di ordine estatico (sogni, trance, visioni…);
2. istruzione d’ordine tradizionale (ovvero dopo che abbia conseguito le capacità di utilizzare le tecniche sciamaniche e di aver dimostrato una sufficiente conoscenza dei nomi e delle funzioni degli spiriti, della mitologia, della genealogia del clan, del linguaggio segreto).
Questa doppia istruzione è una vera propria iniziazione a cui gli spiriti e i vecchi maestri sciamani sottopongono il candidato. L’iniziazione può avvenire tramite un cerimoniale cui assiste tutta la tribù, ma nella maggior parte dei casi è un’iniziazione personale effettuata in sogno o nell’esperienza estatica del neofita.
Solamente attraverso quest’esperienza, un individuo ritenuto dapprima “psicopatico” o “nevrotico” da parte degli altri membri della tribù viene riconosciuto da questi ultimi come sciamano.
Nell’area siberiana e asiatica esistono differenze per ciò che riguarda il reclutamento degli sciamani, ma in linea generale le varie tribù credono che i poteri sciamanici siano un dono del Gran Dio o degli spiriti, che si nasca sciamano in potenza e si venga in seguito riconosciuto tale dalla comunità.
La tribù riconosce che un suo membro è dotato di poteri sciamanici solo quando questi li manifesta. All’avvicinarsi della maturità il candidato ha delle visioni, canta durante il sonno, ama isolarsi e passeggiare per luoghi solitari e così via, fin quando non si unisce ad un vecchio sciamano per essere istruito: in questo modo il discepolo si avvicina al Maestro che lo inizia alla via sciamanica.
In alcune tribù il candidato viene riconosciuto al manifestarsi in lui di una sorta di possessione da parte degli spiriti: egli scappa dal villaggio, si nutre della scorza degli alberi, perde coscienza, si getta nell’acqua e nel fuoco, si ferisce con lame, ecc…; in altre tribù ancora, come i Manciù e Tungusi della Manciuria, i poteri sciamanici si trasmettono da nonno a nipote alla morte del primo (al figlio non vengono dati i poteri perché questi deve prendersi cura del padre). Nel caso non vi sia discendenza i poteri passano ad un altro membro della tribù.
Il nuovo sciamano è però sempre riconosciuto tale dalla comunità al manifestarsi di esperienze estatiche (in particolare qui, il candidato scappa per 7 giorni nelle montagne, si procura il cibo cacciando a mani nude e ritorna al villaggio sporco, con i vestiti laceri e aspetta 12 giorni prima che uno spirito lo possegga e lo prepari all’iniziazione – vedi V.I.T.R.I.O.L. e GABINETTO DI RIFLESSIONE).
Tra i Buriati Alari, i candidati sciamani, all’età di 13 anni, vengono posseduti nei sogni dagli spiriti. Durante l’estasi il candidato canta inni magici, dimostrando di conoscere il linguaggio segreto degli sciamani prima che gli venga insegnato: a questo punto i membri della tribù lo riconoscono sciamano. In altre tribù di Buriati, si crede che l’anima del candidato venga rapita e portata via per essere istruita nel palazzo degli Dei e che gli Dei stessi svelino al neofita i segreti iniziatici; inoltre lo sciamano deve passare attraverso 3 gradi di iniziazione prima di essere riconosciuto dalla comunità come Maestro Sciamano.
La caratteristica che accomuna il riconoscimento dello sciamano, da parte degli altri membri della tribù nelle diverse popolazioni da noi prese in analisi è la manifestazione di malattie e scompensi a livello psichico, solitamente di tipo epilettico. Numerosi etnologi e antropologi hanno cercato di dare una risposta scientifica a questi fenomeni, ma noi ci limitiamo a citare questo carattere comune e assumerlo come un dato di fatto, senza addentrarci in speculazioni psico-patologiche che ci allontanerebbero dal tema del nostro studio. Ciò che la scienza attuale definisce come malattia o psico-patologia, per un candidato sciamano non è altro che un segno della “Scelta” che sta per intraprendere: è la “Cura” stessa per guarire la “Malattia”.
Dopo aver sostenuto la “prova” della malattia, lo sciamano è in grado di dominare la malattia stessa, di auto-provocarsi una crisi di tipo nevrotico-epilettica e di controllarla tramite i suoi poteri.
La malattia non è altro che una fase dell’iniziazione, un momento di passaggio che permette al candidato di ottenere i poteri terapeutici per guarire se stesso e gli altri: ecco quindi come lo sciamano è al tempo stesso anche uomo-medicina.
Lo sviluppo delle facoltà animiche e mentali si accorda con certe psicopatie: una disfunzione psico-fisica può promuovere una funzione animica (vedi “Il Giuramento Massonico”): la guarigione della malattie coincide col risveglio dell’anima vegetativa e il cammino iniziatico altro non è che l’educazione dell’anima vegetativa e dell’anima senziente.
Lo sciamano educa la propria anima vegetativa dopo averla risvegliata durante l’iniziazione e la riconosce come Legge che governa ogni forma di vita, cercando di vivere in buon accordo con essa. Il lavoro dello sciamano, in un primo tempo, si basa sulla presa di coscienza delle forze che vivono e operano nel corpo fisico (quando è APPRENDISTA) e, in seguito, porterà queste forze ad unità di servizio della mente e della volontà sino alla Maestria. Le tecniche che riguardano il corpo fisico vengono utilizzate con l’unico scopo di insegnare all’anima vegetativa di mettersi al servizio delle forze più sottili che vivono nell’uomo (il controllo del respiro, la giusta e corretta posizione nello stare seduti, il silenzio, la capacità di saper sentire, ascoltare, ascoltarsi, estraniarsi dai rumori mondani – vedi doveri dell’APPRENDISTA). Educando l’anima vegetativa lo sciamano trasforma il suo corpo, lo risana dalle malattie, proiettandolo al di là della legge del tempo e dello spazio. Lo sciamano ottiene, dal connubio con la propria anima vegetativa, la padronanza della propria vita e della propria morte.
Lo sciamano potrà risvegliare centri corporei sede dell’anima vegetativa, come il talamo e l’epitalamo, l’epifisi o pineale, l’ipofisi o pituitaria, la tiroide, la glandola del timo, la glandola epatica, le ghiandole surrenali, il pancreas e la propria pelle. Nelle tribù indigene sud-americane della Terra del Fuoco, il neofita, durante l’iniziazione, si sfrega con delle pietre sacre la pelle del viso fino a che appaia una seconda e talvolta persino una terza pelle, la “pelle nuova”, visibile ai soli iniziati (vedi “Il Volto Verde” e “La Faccia Verde” di Gustav Meyrink). Ecco un esempio dell’importanza del risveglio di una delle più importanti ghiandole del nostro organismo: la pelle organo psichico per eccellenza.
Anche l’anima senziente verrà risvegliata ed educata: lo sciamano riuscirà infatti a sviluppare i propri sensi fino ad acquistare doti di chiaroveggenza e chiaroudienza.
La via iniziatica mostra allo sciamano come controllare le sue funzioni corporee per poter resistere a shock e sforzi sovroumani e, al tempo stesso, come mettersi in contatto con i Cieli Superiori. Lo sciamano raggiunge un alto livello di auto-controllo sulle proprie facoltà fisiche e mentali, tale da permettergli di attraversare indenne esperienze estatiche, mettendole al servizio di se stesso e della comunità.
Anche l’iniziazione sciamanica, come le iniziazioni ai culti antichi, prevede una “morte” simbolica del candidato (malattia) e una rinascita (guarigione). Le esperienze estatiche del candidato, siano esse legate a sofferenze fisiche, mentali od oniriche, rappresentano lo “smembramento del corpo e della mente dell’iniziato” (vedi morte di OSIRIDE), condizione sine qua non per la rinascita e la rigenerazione fisico-mentale dello sciamano. Gli sciamani narrano di essere scesi negli Inferi durante l’iniziazione, di aver comunicato con gli spiriti degli sciamani morti, lottato con demoni e di essere riusciti e ri-nati (vedi BARDO TODOL e INFERNO DI DANTE – discendere nel proprio inferno personale, affrontare i demoni delle passioni e risalire attraverso i peli della barba di Lucifero, unico tramite per uscire dagli inferi).
La tradizione iniziatica dei popoli del Caribe prevede che il neofita assuma una droga estratta dalla pianta tapini: questa gli permette di affrontare lo smembramento del suo corpo da parte degli spiriti mentre viene trasportato nei cieli, di sopportare il dolore fisico e di godere di visioni estatiche.
Presso le tribù Yakuti della Siberia il candidato deve resistere 3 giorni e 3 notti senza mangiare né bere, dopodiché il suo corpo verrà smembrato e tagliato 3 volte: le membra vengono staccate e separate con un uncino di ferro, le ossa ripulite dalla carne, le sostanze liquide gettate al vento e gli occhi strappati dalle orbite (vedi GIURAMENTO MASSONICO). In seguito tutte le ossa vengono ricomposte e legate con fili di ferro. Questo procedimento può durare da 3 a 7 giorni; frattanto l’anima dello sciamano viene rapita da un mitico Uccello Rapace-Madre dotato di un becco di ferro (nota: questo volatile si presenta 2 volte nel corso della vita dello sciamano, cioè alla nascita spirituale ed alla sua morte). L’Uccello trasporta l’anima del candidato negli inferi e la fa maturare su un ramo d’abete: quando è matura l’Uccello torna sulla terra, smembra il corpo del candidato e dà la carne in pasto agli spiriti malvagi della malattia e della morte. Dopo che gli spiriti hanno mangiato il corpo, l’Uccello ritorna sulla terra, ricompone le membra, restituisce l’anima al nuovo sciamano e lo risveglia: questa esperienza dona allo sciamano la facoltà di guarire se stesso e gli altri (a questo punto è opportuno ricordare il Canto IX del Purgatorio di Dante vv. 1-33: Dante si addormenta nella Valletta dell’antipurgatorio e sul far del giorno sogna di essere sul monte Ida, quando un’Aquila scende dal cielo su di lui, lo ghermisce e lo porta su nella sfera del fuoco, dove tutti e due ardono. Il Poeta si risveglia sotto la forte impressione di questo calore ed è pronto a riprendere il suo cammino).
È importante soffermarci sul mito dell’Uccello: presso le tribù siberiane l’Essere Supremo (chiamato Aij Tojen = “Creatore della Luce”) è rappresentato come un’Aquila a Due Teste (vedi Aquila Bicipite – R:. S:. A:. A:.). Analogamente presso le tribù Caribe della Guiana, l’intermediario fra il Dio Creatore e gli uomini è rappresentato dal “Grande Padre Avvoltoio”.
La tradizione yakuti narra che Aij Tojen creò il primo sciamano; piantò nella sua dimora celeste una betulla ad otto rami (albero sacro per eccellenza presso gli yakuti, detto “Albero Celeste”) e su questi dispose i nidi per i figli del Creatore (i futuri sciamani). La betulla simboleggia l’Albero Cosmico o Asse del Mondo, essendo posizionato, secondo la tradizione, al centro del mondo (il simbolo dell’albero al centro del mondo lo ritroviamo nelle tradizioni nella maggior parte delle religioni – Albero della Conoscenza del Bene e del Male / Albero della Vita).
Inoltre Aij Tojen piantò 3 alberi sulla terra ed è in loro ricordo che ogni sciamano possiede un albero, dalla cui vita egli dipende. Lo sciamano deve arrampicarsi in cima al suo albero per completare la propria iniziazione. L’arrampicata dell’albero o del palo, a seconda delle diverse tradizioni, si può considerare come una delle varianti del tema mitico-rituale dell’Ascensione al Cielo, presente nelle religioni monoteiste (Albero della Cuccagna o φαλλον).
L’ascesa rituale di un albero la troviamo anche presso le tribù sud e nord americane, mentre presso gli indigeni australiani lo sciamano deve ascendere ai cieli arrampicandosi su una corda magica (vedi analogie col fachirismo indiano).
Un’altra tradizione yakuti prevede che il corpo dell’iniziando sia trasportato per 3 anni negli Inferi dagli spiriti del male: questi gli tagliano la testa, ponendola davanti al corpo, di modo che il candidato possa assistere coi suoi occhi allo smembramento del proprio corpo ed alla scarificazione del suo scheletro (vedi il simbolo dello Scheletro nel Gabinetto di Riflessione, durante la stesura del Testamento Spirituale – vedi INFERNO di Dante Canto XXVIII vv. 118-142: Bertram dal Bornio).
La carne viene data in pasto agli spiriti delle malattie: in seguito nuove membra vengono collocate sullo scheletro e dentro di esse verrà fatto scorrere nuovo sangue (vedi nomi dell’anima nel GIURAMENTO: NEPHESH = è il sangue come è detto : “Perchè il sangue è la vita” - Deuteronomio, XII, 13).
Anche presso le tribù eschimesi è fondamentale la contemplazione del proprio scheletro per potersi reintegrare nella matrice della Grande Vita (lo scheletro è il simbolo dello scaturire della vita tanto umana che animale), liberandosi dell’illusione della carne e ritrovando la sorgente della vita spirituale che, al tempo stesso, è “Verità” e “Vita”.
Nelle tribù siberiane lo sciamano, durante l’esperienza estatica, viene posseduto da uno spirito femminile (maschile nel caso che si tratti di uno sciamano donna, ma i casi sono molto rari), con il quale, in seguito, celebrerà le sue nozze mistiche. La sposa (o sposo) celeste ha parte degna di importanza durante l’iniziazione solo per ciò che riguarda il contatto con l’altra parte del divino (fusione tra parte maschile e femminile – la dualità che riporta all’unità). Nella tradizione caribe, il neofita incontra, durante l’esperienza estatica, lo Spirito delle Acque (Amana), che è una donna di grande bellezza la quale lo induce ad immergersi insieme a lei nel fiume.
Gli spiriti giocano un ruolo importante nella vita dello sciamano: egli infatti può comunicare con loro ed avere “spiriti ausiliari” o “familiari”. Il numero e il tipo di spiriti familiari varia a secondo della tradizioni, ma generalmente si tratta di 7 spiriti zoomorfi, che aiutano lo sciamano ed uno “Spirito della Testa” che lo accompagna e lo protegge durante i viaggi estatici (Spirito Guida). Gli animali rappresentano le anime dei defunti reincarnati e spesso viene a loro attribuita la funzione di psicopompi (perché accompagnano le anime dei morti nell’Aldilà – vedi il Dio egizio Anubi). Durante l’iniziazione lo sciamano deve imparare il “linguaggio segreto” che gli permette di comunicare con gli spiriti dell’Adilà e dei Cieli Superiori: il Maestro e gli spiriti stessi insegnano al nuovo sciamano il “linguaggio segreto” che trae la sua origine dall’imitazione dei versi e delle grida degli animali (per queste ragioni gli animali vengono infatti venerati, rispettati e posti sullo stesso piano degli uomini - vedi religioni totemiche).
L’esperienza estatico-iniziatica, nelle tradizioni asiatiche e siberiane, prevede un viaggio onirico che cambia a seconda delle tradizioni: nella maggior parte dei casi il candidato viaggia nel mondo degli Dei (Cieli Superiori - Prova dell’Aria), attraversa un mare (Prova dell’Acqua) e discende negli inferi (Prova della Terra).
Il punto cruciale del viaggio è quando il candidato deve ricavare 3 tamburi dal legno dell’Albero Sacro. Questi oggetti serviranno per assistere le donne partorienti, per guarire i malati e per ritrovare gli uomini sperduti fra le nevi. Il Signore dell’Albero svelerà al candidato anche le 7 piante curative per guarire le malattie degli uomini. Dopodiché il recipiendario attraversa deserti e pianure utilizzando come guide un topo ed un ermellino, finché giunge presso una montagna e, dopo 3 giorni di marcia, penetra in una caverna: qui trova un uomo intento ad una fucina che, afferrandolo con una tenaglia, lo immerge nel fuoco (Prova del Fuoco). Il fuoco cuoce per 3 anni il corpo del neofita, completando così la sua iniziazione.
Ritroviamo caratteristiche simili presso le popolazioni eschimesi ed australiane: tra gli indigeni di Warburton Ranger (Australia Occidentale) l’aspirante sciamano penetra in una caverna e due eroi totemici (il gatto selvatico e l’emù) lo uccidono, gli smembrano il corpo, ne traggono gli organi, che vengono sostituiti con sostanze magiche ricavate dai minerali. Gli asportano anche la tibia e la scapola, che fanno seccare, e prima di rimetterle a posto, le farciscono con le stesse sostanze. Durante questa prova l’aspirante sciamano è sorvegliato dal suo Maestro iniziatore che mantiene accesi i fuochi e controlla le sue esperienze estatiche. In altre tribù il candidato viene ferito da una lancia invisibile scagliata dagli spiriti, che gli entra nella nuca, gli traversa la lingua ed esce dalla bocca; la lingua del candidato rimane forata e una seconda lancia gli taglia la testa facendolo soccombere (riferimento al V CHACKRA). In seguito questi verrà trasportato in una profonda caverna dove gli spiriti sostituiranno i suoi organi.
Dopo l’iniziazione il candidato riprende coscienza ma non può praticare le sue arti per un anno (vedi Silenzio dell’APPRENDISTA) e se nel frattempo l’apertura sulla lingua si richiude, deve rinunciare ad essere sciamano. Durante questo periodo impara dagli altri sciamani i segreti dell’arte della medicina e soprattutto ad utilizzare i frammenti di quarzo che gli spiriti gli hanno introdotto nel corpo.
Anche tra le tribù africane troviamo l’usanza di perforare il corpo dell’iniziato, sia fisicamente che simbolicamente. In particolare presso le tribù sudanesi dei Monti Nuba, il neofita deve passare attraverso 3 consacrazioni iniziatiche: durante la prima gli sciamani anziani “aprono” la testa del neofita affinché li spiriti possano entrarvi (vedi KETHER, VII CHACKRA).
Gli indigeni del Borneo, invece, trafiggono con una freccia il corpo dell’iniziato a livello del cuore (IV CHACKRA), affinché la sua anima si carichi di pietà per i malati e i sofferenti.
Anche l’elemento fuoco è basilare nelle diverse iniziazioni. Abbiamo visto l’importanza del calderone in cui gli spiriti immergono il corpo del neofita nelle tradizioni asiatico-siberiane, e ancora possiamo portare l’esempio, noto a tutti, delle iniziazioni tra i popoli caraibici: il neofita deve camminare sui carboni ardenti senza bruciarsi e senza che le vesti prendano fuoco. Analogamente tra gli indiani del Nord America, il candidato deve tenere in mano una pietra arroventata senza ustionarsi.
Le iniziazioni sciamaniche presso gli eschimesi e gli indiani del Nord e Sud America sono simili a quelle precedentemente descritte. Anche in queste tradizioni il neofita si reca in una caverna in cui avrà un’esperienza estatica e sarà iniziato dagli spiriti: la discesa nella viscere della terra è fondamentale per il neofita, poiché durante questo viaggio egli verrà purificato dai peccati commessi e solo allora potrà avere l’esperienza estatica che gli permetterà di uscire al di fuori della terra e rinascere (V.I.T.R.I.O.L.). La fase finale dell’iniziazione presso le tribù eschimesi avviene quando il Maestro sciamano trasmette al suo discepolo il “lampo di luce” (vedi Luce Massonica) che entrerà nel corpo del neofita penetrando il suo cuore e il suo cervello (IV, VI e VII Chackras). A questo punto il nuovo sciamano potrà vedere al di là delle tenebre che celano i segreti agli uomini.
Nella tradizioni dei popoli Manciù dell’Asia l’iniziazione si svolge d’inverno e il neofita deve scavare immergersi in 9 nove aperture, precedentemente scavate nel ghiaccio (Prova della Terra), ed uscirne fuori nuotando (Prova dell’Acqua). Il neofita deve essere quindi in grado di scaldare sufficientemente il suo corpo tramite il “calore psichico” (prove simili le troviamo nelle iniziazione eschimesi e nelle prove logico-tantriche).
L’iniziazione degli uomini medicina australiani comporta anch’essa una morte simbolica ed una rinascita spirituale del neofita. Il maestro si presenta sotto forma di scheletro al candidato e trasforma quest’ultimo in un neonato (vedi Iniziazione Massonica – Prova della Terra – Gabinetto di Riflessione). Dopo averlo posto in un sacchetto, il Maestro si arrampica sull’Arcobaleno (chiamato Serpente Arcobaleno) e giunto in cima lo scaglia in cielo, uccidendo il neofita. Dopodiché introduce nel cadavere del neofita-neonato dei serpentelli-arcobaleno e dei cristalli di quarzo (che saranno fondamentali per permettere al futuro sciamano di elevarsi in volo): in seguito il candidato viene ricondotto sulla terra e svegliato.
Il mito dell’arcobaleno, come ponte tra la terra e i cieli, lo ritroviamo anche nelle tradizioni giapponesi e mesopotamiche.
Nelle tradizioni dell’India, della Mesopotamia e nel giudaismo stesso vi è riferimento ai 7 colori dell’arcobaleno che rimanda ai 7 cieli; Buddha viene spesso raffigurato seduto a cavalcioni di un arcobaleno a 7 raggi, per significare che egli trascende il cosmo, ed i 7 cieli.
Nelle tradizioni nordiche il Dio Heimdall, armato di spada e lancia, custodisce il Bifrost (il ponte-arcobaleno che congiunge la Terra al Valhalla).
Ricordiamo altresì GENESI IX, 12-17 dove l’Arcobaleno simboleggia il patto Noachico. Nella Bibbia troviamo riferimenti all’Arcobaleno che circonda il Trono di Dio (vedi EZECHIELE I, 28; APOCALISSE IV, 3), mentre nel libro del SIRACIDE il tema dell’Arcobaleno divino è al centro di un proverbio (XLIII, 11-12).
La ziqqurat babilonese veniva talvolta rappresentata a mezzo di 7 colori, simboleggianti le 7 regioni celesti: salire su per vari piani della ziqqurat era come raggiungere la sommità del mondo cosmico.
Ritornando alle tradizioni tribali da noi prese in esame, bisogna ricordare che nelle cerimonie di investitura dello sciamano vengono usati nastri colorati chiamati “arcobaleno”, e i tamburi sciamanici recano disegni raffiguranti
l’arcobaleno. Tanto presso i Turchi quanto presso i Samoidei Yurak, il tamburo viene chiamato “arco” o “ponte celeste” (vedi importanza della Batteria durante i riti massonici).
Per ciò che riguarda i cristalli invece, gli indigeni dell’Oceania credono che nei tempi antichi una pietra o un cristallo magico si sia staccato dal cielo e malgrado sia caduto sulla terra, i suoi frammenti continuano a dispensare una sacralità uranica, cioè chiaroveggenza, saggezza, potere divinatorio, capacità di volare ecc… .
Lo stesso simbolismo uranico è presente presso i miti del folklore europeo (i mitici palazzi di cristallo sede di oggetti miracolosi e di potere sovraumano), nella religione cristiana (Lucifero e gli angeli ribelli avevano una pietra incastonata nella testa che hanno perso in seguito alla cacciata dal Paradiso e alla caduta sulla terra – origine del mito del Graal) e musulmana (la Ka’ba).
I cristalli di quarzo hanno diverse proprietà, in riferimento alle scienze e alle tradizioni; possiamo così sintetizzare:


Conclusioni

La cerimonia iniziatica nelle diverse culture tribali rimanda sempre a caratteristiche comuni (eviscerazione, sostituzione degli organi, discesa negli inferi ed ascensione estatica ai cieli superiori, malattia, follia, sogno) che simboleggiano la MORTE del neofita e la RINASCITA dello sciamano. Oltre a queste caratteristiche comuni, dobbiamo accennare al mito della decadenza sciamanica.
Tanto le tradizioni siberiane e asiatiche quanto quelle del caribe e dell’Oceania, narrano che all’origine dei tempi gli sciamani viaggiavano liberamente tra la terra e i cieli. Essi erano potenti quanto il Dio Creatore ed in seguito vennero puniti dal Dio stesso e persero i loro poteri diretti.
Traspare quindi dal mito un’epoca primordiale nella quale la comunicazione tra gli sciamani e Dio era più diretta e avveniva in modo concreto (Età dell’Oro, Età Atalntidea, vedi Rudolf Steiner): in generale, un’antica Era in cui gli sciamani erano grandi e potenti, seguita da un’altra Era di decadenza (vedi KARTA YUGA e KALI YUGA). In seguito ad un atto d’orgoglio o di rivolta da parte dei primi sciamani Dio interdisse loro l’accesso diretto alle realtà spirituali (vedi mito di Prometeo e Lucifero): essi non possono vedere più gli spiriti con occhi umani e l’ascesa al cielo potrà compiersi solo tramite l’estasi. Tuttavia soltanto gli sciamani sono in grado di ristabilire la comunicazione interrotta fra Dio e gli uomini.
Il mito comune della decadenza ci porta direttamente alle radici delle tradizioni dei popoli da noi studiati. Questo traguardo è in realtà il punto di partenza per poter comprendere il valore simbolico delle religioni dei popoli tribali, poter riconoscere in questi i portatori e i conservatori delle tradizioni primordiali poste alla base della nostre civiltà.
Ho detto.