“CONOSCI TE STESSO”
di Adam KadmonLa frase “Conosci te stesso” che compariva sul portale del tempio di Apollo a Delfi, il massimo santuario dell’antichità, riassume in modo estremamente conciso una dottrina ampia e profonda. Nell’antichità l’estrema concisione delle formule espressive era associata alla saggezza; Plutarco così si esprime: “Sono ritenute sagge le persone stringate e concise che sanno concentrare molti concetti in poche parole. Platone elogia questo tipo di uomini” e conclude affermando che il conosci te stesso in poco spazio contiene “un pensiero forgiato con il martello”.
Questo invito alla conoscenza di se stessi viene ripreso da Eraclito, Pitagora, Socrate, Parmenide, Platone, Plotino etc. e l’impegno che ne consegue viene considerato molto arduo tanto che Giambico nella Vita Pitagorica dice che “la cosa più difficile è conoscere se stessi” ed Eraclito afferma: “Per quanto possa camminare, e neppure percorrendo intera la via, tu potresti mai trovare i confini dell’anima: così profondo è il suo logos” (fr. B45).
Una interpretazione che riassume i contenuti dell’espressione deifica è quella in base alla quale l’uomo viene invitato a conoscere il proprio corpo fisico, i sentimenti e il nous (spirito). Nell’Alcibiade Primo, Socrate ritiene che l’uomo non deve identificarsi nell’unità psico-somatica ma deve rivolgersi alla “parte più divina” dell’anima che è sede della conoscenza e della sapienza.
Per Platone, nel Filebo e nel Timeo, il lavoro di “conoscere se stesso” è proprio del saggio e costituisce il discrimine tra gli iniziati e tutti gli altri, perché quelli che si ritengono limitati al solo complesso psico-somatico trascurano la propria parte “divina” che ci fa accedere alla sapienza.
Il conoscere se stessi è molto difficile perché, mentre per l’apprendimento della struttura e del funzionamento del corpo fisico e della parte emotiva-mentale l’uomo, con la scienza, progredisce costantemente, per l’anima l’uomo di solito non progredisce perché ne ignora l’esistenza.
L’iniziato, al quale l’esortazione “Conosci te stesso” è indirizzata, sa che lo scopo della sua esistenza terrena è la conoscenza, che non è quella ordinaria come la percezione sensoriale, l’apprendimento attraverso la ragione, l’acculturamento; ma è quella che l’iniziato ottiene andando oltre la conoscenza ordinaria per pervenire alla conoscenza del divino; conoscere il divino fa sì che l’uomo, in conformità al dettato evangelico, “sia in questo mondo ma non sia di questo mondo”.
Questa è la via indicata da Saint Martin quando dice: “L’unico sistema è penetrare sempre più profondamente negli abissi del nostro essere, fino a localizzare la radice viva e vivificante e ricondurla alla luce”. Cioè quando noi, con il desiderio ardente di conoscenza, alimentiamo la nostra preghiera, possiamo “entrare nel cuore di Dio e fare entrare il cuore di Dio in noi per compiervi un matrimonio indissolubile, che ci renda l’amico, il fratello, la sposa del nostro Divino Riparatore”.
La via alla conoscenza indicataci da Martinez e da Saint Martin non è una via di erudizione e di ragione; è una via che attraverso la purificazione del nostro corpo, dei nostri sentimenti, dei nostri pensieri, giunge ad uno stato che trascende il corpo, i sentimenti ed i pensieri e, alla fine, ci fa entrare “nel cuore di Dio”. E’ abbandonando l’attaccamento alle cose terrene che Martinez con le operazioni teurgiche e Saint Martin con la preghiera ascendono al di sopra della materialità.
Questo risultato si può raggiungere solo se riusciamo, come dice Saint Martin, ad ottenere il riposo assoluto del nostro essere e con la cessazione di “tutte le tempeste che viviamo nella regione del tempo” perché “l’uomo deve arrivare a sentire che tutto ciò che lo circonda, tutto ciò che lo avvicina, tutto ciò che lo costituisce, oggi è un ostacolo alla preghiera” (Saint Martin, Opere postume) ed afferma nel Nuovo uomo che si è fatto un primo passo indispensabile alla via della conoscenza “quando pensiamo sensibilmente che le cose di questo mondo non sono e che possiamo compararle fisicamente con le cose che sono”, cioè quando sappiamo discriminare il Reale dal non Reale e quando siamo riusciti a distaccarci psicologicamente dal non Reale.
La via indicataci da Saint Martin e che ci consente di varcare la soglia del mentale e raggiungere il “riposo assoluto” del nostro essere per poi procedere verso Dio è una via che possiamo facilitare servendoci di un supporto dialettico e di un supporto operativo. Il supporto dialettico è costituito dallo studio dei Testi sacri, dalla lettura degli scritti di Saint Martin, dall’apprendimento, dall’istruzione del proprio S.I. e dalla profonda riflessione. Il supporto operativo consiste nel risvegliare, attraverso la meditazione e la preghiera, quella facoltà di intuizione intellettuale capace di innalzarsi dal piano delle forme a piani più alti ove poter osservare “il celeste abitante che dimora in noi” (v. Saint Martin, Il nuovo uomo), così come Saint Martin chiama il Sé precedendo di oltre un secolo le scoperte di Jung.